Il colonialismo italiano e le dichiarazioni del dott. Cirielli

L’Isbrec aderisce al comunicato emesso dall’Istituto nazionale “Parri” – Rete degli Istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, relativo alle recenti affermazioni dell’on. Edmondo Cirielli in merito al colonialismo italiano.

Il dottor Edmondo Cirielli, generale di brigata dei carabinieri in ausiliaria, già consigliere regionale campano, più volte deputato, fondatore e grande organizzatore del partito in cui milita, ha detto il 1° luglio a Roma, nell’ambito di una manifestazione di Gioventù nazionale (movimento giovanile di Fratelli d’Italia) che “sia nel periodo prefascismo sia nel periodo fascismo”, “il governo italiano” e “l’Italia” “in Africa ha[nno] costruito e realizzato”.
Cirielli ha ripetuto il vecchio (e contestato dagli studiosi e dalle studiose) mito dell’“italiano brava gente”: questo in effetti ha costituito l’asse di fondo del suo discorso, visto che a suo parere “l’italiano da sempre è una persona nel suo complesso corretta e che rispetta il prossimo”, perché “noi non siamo per natura gente che va a depredare e a rubare al prossimo, anche per un fatto culturale, perché la nostra cultura antica e millenaria non ci fa essere un popolo di pirati che vanno in giro a depredare il mondo”.
Tuttavia, non c’è solo questo. Egli ha più precisamente affermato, non si sa su quali basi documentarie, che “nei suoi cento anni di colonie” (ma sono stati molti meno: dal 1882 al 1943) l’Italia con tutti i suoi governi liberali e fascisti non ha fatto quello che tutte le altre potenze coloniali europee fecero, cioè sfruttare il Continente nero, e in particolare non vi ha commesso crimini.
In realtà, sia l’Italia liberale sia l’Italia fascista non solo hanno fatto almeno quanto facevano le altre potenze coloniali, ma si sono anzi distinte per politiche particolarmente repressive. In particolare, il regime fascista ha condotto in Libia nel 1929-1931 pesanti operazioni militari anche costruendo una rete di campi di concentramento in cui ha segregato per anni parte della popolazione della Cirenaica. Mussolini ha poi scatenato nel 1935-1936 contro l’Etiopia una guerra di aggressione nel corso della quale l’Italia fascista ha fatto uso di gas tossici vietati dalle norme internazionali che pure il regime aveva siglato. Spietata poi la repressione della resistenza etiope da parte di Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia, governatore generale e comandante delle truppe, soprattutto dopo l’attentato contro la sua persona del 19 febbraio 1937: in quella giornata migliaia di civili furono sommariamente giustiziati.
Più in generale il colonialismo italiano ha contribuito assai poco allo sviluppo dei territori che ha occupato, come dimostrava per esempio – alla fine del suo dominio e a differenza delle altre potenze coloniali europee – l’insignificante numero di nativi laureati che ha lasciato in quelle terre, cosa che vi ha reso più difficile la costruzione di una classe dirigente e lo sviluppo postcoloniale.
La ricerca storica (cui nei suoi decenni di attività l’Istituto nazionale Ferruccio Parri ha fortemente contribuito) ha da tempo smentito, sulla base di una documentazione sempre più numerosa, l’affermazione di un carattere particolarmente “bonario” del colonialismo italiano, e dispiace che un politico italiano di lungo corso come Cirielli abbia riproposto tali stereotipi.
L’on. Cirielli è viceministro degli Esteri della Repubblica italiana. Ci chiediamo come possano reagire ad affermazioni che difendono quell’eredità al di fuori di una corretta valutazione dei fattori storici quei governi africani, ovviamente sensibili a condannare l’eredità del colonialismo europeo (e italiano), a favore dei quali la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni da tempo sta ripetendo di voler lanciare un (ancora non precisato) italiano “Piano Mattei per l’Africa”.

Milano, 4 luglio 2023

Il Presidente Paolo Pezzino
con tutti gli organi direttivi, i collaboratori e le collaboratrici
dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri
Rete degli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea