Si conclude il ciclo di incontri organizzato per i 60 anni dell’Isbrec e dedicato al tema “Italia: nazione senza confini”. Il quinto e ultimo appuntamento appuntamento si svolgerà sabato 13 dicembre alle ore 17.00 in sala “Bianchi” a Belluno e vedrà la partecipazione dello storico Maurizio Reberschak, componente del Consiglio direttivo dell’Isbrec. Il titolo del suo intervento è “Stato e Nazione nell’Italia contemporanea“.
Ingresso libero
Il ciclo di incontri è pensato anche come momento di formazione per docenti. Agli insegnanti partecipanti verrà rilasciato un attestato di partecipazione.
“Stato” e “Nazione”, insieme a ”Patria”, sono tornati di moda nel linguaggio politico attuale. Ma c’è da chiedersi: questa terminologia è usata in modo appropriato? E soprattutto: quando queste parole sono state usate nel corso della storia contemporanea? E quale valenza si deve dare a questi termini in sede storica ed epistemologica?
Possiamo partire dall’uso attuale del termine reintrodotto con grande enfasi dalla presidente del consiglio Meloni, che dimostra di prediligere “Nazione” (e “Patria”) al termine “Stato”. Ma è bene chiedersi se l’uso politico di questa terminologia sia corretto sotto un profilo storico. Da un punto di vista metodologico dobbiamo riferirci alle elementari indicazioni metodologiche di Marc Bloch sulla storia, o meglio a cosa serve la storia: «comprendere il presente mediante il passato»; «comprendere il passato mediante il presente».
L’excursus potrebbe cominciare dal ’500, come indica Federico Chabod nei suoi corsi universitari, attestati nel libro L’idea di Nazione, ma fermeremo la nostra attenzione all’età contemporanea. La formazione degli Stati nazionali conosce un apice nel corso del XIX secolo. Pensiamo alla Germania di Bismarck (1871) o all’Italia di Cavour (1961). Sintomatico è l’uso maggiore di “Stato” rispetto a quello di “Nazione” e di “Patria”. Con l’unità dello Stato italiano si pose l’interrogativo: «Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani» (Massimo d’Azeglio): emerse cioè il problema di un’identità nazionale. Il fenomeno del brigantaggio, l’analfabetismo predominante, la permanenza delle lingue dialettali, furono veri ostacoli alla costruzione di un’unità nazionale. La rappresentanza di una Nazione rimase a lungo un ideale irraggiungibile. Fu lo “scatto” della Grande guerra a imprimere un’accelerazione verso lo “spirito” di Nazione: per la prima volta le masse militari furono a contatto nel fronte, a ridosso del quale la popolazione locale era direttamente coinvolta. Venne portata a compimento quella “nazionalizzazione” delle masse che in precedenza aveva impegnato la classe dirigente liberale, ma con esiti alterni e ambivalenti.
Con l’avvento del regime fascista il processo di “nazionalizzazione delle masse” comportò l’assimilazione tra Stato e Nazione attraverso la trasformazione delle istituzioni dello Stato e il “consenso” forzato delle masse. Le leggi “fascistissime” comportarono la trasformazione radicale delle istituzioni statali. “La Nazione lo chiede” divenne lo slogan di “diritto di fatto”. La formazione di un nuovo sistema del diritto (codici Rocco) modificò le relazioni pubbliche e private. L’istituzione del sistema corporativo incise sulla trasformazione dei rapporti sociali, civile, economici. Il colonialismo comportò la funzione della Nazione come potenza internazionale.
La seconda guerra mondiale venne intesa come riscatto della Nazione tradita dai trattati di “pace” succeduti alla ”Grande guerra”. La spinta dell’antifascismo cominciò a preparare l’ipotesi di una nuova forma-Stato. Il “Manifesto di Ventotene” del 1941 ipotizzò le basi di uno Stato sovranazionale europeo mediante l’unione federale degli Stati. Con la caduta del regime fascista e la fine della guerra si pose il problema della costruzione del nuovo Stato italiano. L’Assemblea costituente dovette affrontare tale questione. Il primo schema di costituzione venne predisposto in forma extraistituzionale mediante “conversazioni accanto al caminetto”.
Nei lavori dell’Assemblea costituente tornò in primo piano il problema dello Stato e delle sue istituzioni. Punto cruciale fu la redazione dei “principi fondamentali”, che costituirono il cardine del nuovo Stato, anche se vennero inseriti anche i rapporti tra Stato e Chiesa. Nella costituzione italiana lo Stato come forma istituzionale riprese la sua configurazione di diritto pubblico come forma istituzionale di Repubblica. Nazione e Patria vennero ridimensionate nelle loro accezioni identitarie. Ma tutto ciò determinò l’estradizione della “Nazione” e la “morte della Patria”? La spirito nazionalista e patriottico si insinua ancora nelle sedi istituzionali. Basti pensare alla scenografia “patriottica” del Vittoriale ogni 4 novembre.
Maurizio Reberschak ha insegnato Storia contemporanea e di Storia dei partiti e dei movimenti sindacali presso le Università di Padova e Venezia ed è attualmente membro del Consiglio direttivo dell’Isbrec e Socio corrispondente interno della Deputazione di storia patria per le Venezie. Si occupa di storia politica e sociale con particolare riferimento ai gruppi di potere nell’Italia contemporanea, dedicando attenzione soprattutto agli aspetti imprenditoriali e politici della biografia di Vittorio Cini. Ha avviato varie iniziative di ricerche personali e collettive e di pubblicazioni sul disastro del Vajont. Promotore del progetto “Archivio diffuso del Vajont”, è direttore scientifico della digitalizzazione dell’Archivio del processo penale del Vajont e della costruzione del sito web del medesimo archivio. Tra le sue pubblicazioni si segnalano le prime ricerche storiche sul Vajont (Il Grande Vajont, Longarone-Venezia 1983; n.e. Verona 2003, 2008, 2013, 2016) e sul dopo Vajont (Il Vajont dopo il Vajont, con Ivo Mattozzi, Venezia 2009), studi sui movimenti pacifisti e non-violenti (Non-violenza e pacifismo, Milano 1985), analisi su società locali (La resistenza nel veneziano, Venezia 1985; Venezia nel secondo dopoguerra, Padova 1983). Ha collaborato alla Storia dell’industria elettrica in Italia (Roma-Bari 1992, 1994), e alla Storia di Venezia. Ottocento e Novecento (Roma-Venezia 2002). L’ultimo suo lavoro, sempre legato al tema del Vajont, è “Vajont. La prima sentenza. L’istruttoria del giudice Mario Fabbri” curato assieme a Silvia Miscellaneo e Enrico Bacchetti.









