Un francobollo per Italo Foschi. Un caso di revisionismo storico?

Un francobollo commemorativo. Solo un francobollo commemorativo. Solo?
È notizia di questi giorni che Poste italiane ha deciso di emettere un francobollo commemorativo dedicato ad una figura piuttosto oscura (ma non del tutto, non per tutti): Italo Foschi. La questione è balzata agli onori delle cronache e primo fra tutti se ne è occupato Il Riformista, con un articolo firmato da Carlo Giovanardi, già Ministro per i rapporti con il Parlamento (2001-2006), Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (2008-2011), Vicepresidente della Camera dei Deputati (1998-2001), più volte Senatore e Deputato della Repubblica. A seguire, poi, diversi organi di stampa se ne sono occupati e ancora se ne occupano.
La ragione: Italo Foschi fu uomo del fascismo, di quello più duro e violento, voltagabbana all’occorrenza, capace di passare con disinvoltura da una sponda all’altra, e più volte, per scopi personali. Che sia proprio la figura migliore da commemorare con un francobollo?
L’Isbrec ha già preso posizione sulla questione attraverso una breve relazione finita proprio sulla scrivania di Carlo Giovanardi (e non solo) che fa parte della Consulta filatelica l’organo che sovraintende all’emissione dei francobolli.
Lo ringraziamo per aver voluto approfondire una vicenda che tocca anche il Bellunese e per aver preso una posizione netta e pubblica che diversamente sarebbe passata sotto silenzio. Qui di seguito proponiamo un breve profilo di Italo Foschi perché la conoscenza del passato resta a nostro avviso lo strumento migliore per comprendere il nostro presente e perché riteniamo che un uso distorto e politico della storia sia sempre da stigmatizzare. Il passato si studia, lo si analizza, lo si ripensa con occhiali sempre nuovi. Ma riscriverlo per cercare di piegarlo alle proprie idee politiche non è né un modo corretto di affrontarlo, né un buon servizio per i cittadini. Insomma, non è storia.
In chiusura, alcuni brevi riferimenti bibliografici utili per approfondire la questione.

Italo Foschi
Enrico Bacchetti

Nato il 7 marzo 1884 a Corropoli (Teramo), Italo Foschi si laurea in giurisprudenza nel 1906 a Roma e nel 1908 entra alla Corte dei conti come scrivano; lascerà il suo posto nel 1922 per dedicarsi alla politica. Si iscrive al partito nazionale fascista nel marzo 1923 (fascio di combattimento di Roma) e nei primi anni si distingue, tra l’altro, per aver preso parte a diverse aggressioni contro avversari politici e per l’organizzazione di azioni squadriste nella capitale.
Nell’ottobre 1925 viene espulso dal partito per il suo atteggiamento intransigente e violento. Il fascismo sta infatti tentando di darsi una veste più “istituzionale” e meno violenta. Riammesso in occasione dell’anniversario della marcia su Roma per ordine di Farinacci, a dicembre del 1926 Foschi è costretto ad abbandonare la segreteria del fascio romano e quella della federazione dell’Urbe e venne “invitato… a diminuire per proprio conto (e a impedire ai suoi coadiutori) tutti gli eccessi di inopportuno esibizionismo” come dice un documento conservato nell’Archivio centrale dello Stato a Roma (Min. dell’Interno, 1926, b. 110, fasc. Roma – Fascio).
Nel 1928 è, tra l’altro, consigliere della Federazione italiana del gioco del calcio nonché per un certo periodo presidente dell’Associazione sportiva “Roma”.
Dal 1929 inizia la carriera di prefetto, che lo porta a Macerata (1929-’31), a Pola (1931-’33), a Taranto (1934-’36), a Treviso (1936-’39) e a Trento (1939-’43).
Fu sicuramente un fascista fedele al regime. Seguendo la sua figura negli ultimi anni di servizio, agli inizi del 1941, mentre svolge la funzione di prefetto di Trento, si scopre che denuncia all’autorità giudiziaria don Modesto Lunelli, parroco di Ziano, e don Giuseppe Lona, insegnante al liceo arcivescovile di Trento per aver firmato due bollettini parrocchiali con contenuti ritenuti disfattisti. E ancora, nel 1942, a seguito di quelle che definì “maldicenze politiche”, fece intervenire i carabinieri a Cles che arrestarono sette persone per tendenze disfattiste.
Il 25 luglio 1943, dopo la destituzione di Mussolini, con abile mossa sostituisce il direttore del giornale Il Brennero, il fascista Guido Gamberini, con il liberale Gino Marzani. Scrive Vadagnini (p. 73): «L’azione del Foschi, se rispondeva a fini personali, assecondava anche l’intento del governo Badoglio, che, con la sostituzione dei direttori dei più importanti quotidiani, tentava di sottrarre la stampa all’influenza diretta dei gruppi antifascisti».
Considerato il suo status di fascista intransigente e nonostante il tentativo di riposizionamento dopo il 25 luglio, l’11 agosto 1943 (o, secondo Bosman, il 16 agosto) fu collocato a riposo dal Governo centrale, nonostante i tentativi di adeguarsi al nuovo clima politico. Peraltro, anche le forze antifasciste trentine spingevano per un suo allontanamento.
Dopo l’8 settembre e con la costituzione nelle province di Trento, Bolzano e Belluno della Zona d’Operazioni delle Prealpi posta sotto il comando nazista (10 settembre), Foschi ritorna in auge: il 16 settembre è di nuovo prefetto di Trento. Immediatamente fa aprire un nuovo giornale, Il Trentino, che si presenta come «quotidiano del partito fascista repubblicano». Vale la pena ricordare che il 12 settembre Mussolini era stato liberato dalla sua prigionia sul Gran Sasso ad opera di soldati tedeschi e che di lì a un paio di settimane sarebbe nata la Repubblica sociale italiana. Inoltre, Foschi si applica alla ristrutturazione del partito fascista di Trento, con l’intento di ristabilire le condizioni antecedenti il 25 aprile. E ancora, prepara un elenco di antifascisti trentini da far arrestare e fucilare.
Nel frattempo, il Gauleiter Franz Hofer, Commissario supremo della Zona d’Operazioni delle Prealpi, non apprezzandone l’efficienza, andava cercando il modo di estromettere Foschi, in quanto intendeva mettere il fascismo “in soffitta”, in modo da garantire al potere nazista un controllo totale ed efficace del territorio. Sicché, dopo un solo giorno, il 17 settembre Foschi fu esautorato.
Lo ritroviamo qualche giorno più tardi a Belluno, ove assume l’incarico di prefetto.
A Belluno i tedeschi arrivano il 13 settembre, ossia 3 giorni dopo la nascita formale della Zona d’Operazioni. Immediatamente si crea un clima di terrore, con minacce di esecuzioni. L’obiettivo, anche nella nostra provincia, è quello di prendere il controllo alternando rudezze a blandizie. In generale il fascismo va messo ai margini, il potere deve stare in mano nazista e le autorità italiane devono sottoporsi agli ordini nazisti. Ne è un esempio la situazione particolare che si crea quando a Belluno si insedia un Sottosegretariato di Stato alla Marina (naturalmente parliamo della repubblica sociale di Mussolini) e subito sorgono tensioni con autorità e soldati tedeschi che infine porteranno al trasferimento del sottosegretariato nel febbraio del 1944.
Il consigliere amministrativo germanico, Hubert Lauer, sarà la vera autorità prefettizia della provincia; a lui saranno di fatto sottoposti i diversi prefetti italiani (aderenti alla repubblica fascista). E tra settembre e ottobre, a Belluno se ne alternano addirittura cinque: Gaspare Barbera nominato da Mussolini ma che non si poté insediare, Angelo Rossi (già in carica da febbraio sino al 6 settembre), Agostino Galatà, Idreno Utimperghe e Italo Foschi.
Tralasciando gli altri, Foschi giunse a Belluno il 19 settembre e rimase in carica sino al 20 ottobre (ma secondo altra fonte fu prefetto dal 24 settembre – dopo la costituzione della repubblica sociale – al 4 o al 21 novembre) per essere poi sostituito da Carlo Silvetti. La fine del suo mandato è legata ad un processo intentatogli a Trento perché dopo il 25 luglio, da prefetto di quella provincia, di fronte al nuovo clima politico creatosi con la destituzione di Mussolini, aveva fatto omaggio al re e al nuovo Presidente del Consiglio Pietro Badoglio e aveva stilato una lista di fascisti trentini da sanzionare e esporre al pubblico disprezzo. Insomma, Foschi si rivela un amante delle liste di proscrizione, da comporre ad arte in base al clima politico.
Il processo cui fu sottoposto comportò infine la sua messa a riposo da parte del governo della repubblica sociale, esito paradossale se si pensa che, giunto a Belluno, si era distinto per una «ritrovata intransigenza fascista», come scrive Ferruccio Vendramini (p. 174). Ad esempio, aveva ordinato che i ritratti del duce fossero ricollocati al posto d’onore e che i distintivi del partito fossero portati ben in vista sulle giacche. Il 21 settembre, inoltre, aveva firmato un appello, pubblicato su Il Gazzettino, nel quale esaltava Mussolini e sosteneva la necessità della collaborazione con le forze tedesche.
Tutto questo però non gli giovò neppure di fronte alle autorità naziste. I tedeschi, infatti, mal digerivano la presenza di un prefetto tanto zelante che tentava di rafforzare il partito in un territorio che invece essi ritenevano di controllare senza l’ingombro delle camicie nere: i fascisti, per le autorità germaniche, dovevano essere semplici e docili strumenti, e dunque l’apparato di partito non doveva risultare troppo forte.Non a caso il sostituto di Foschi, Carlo Silvetti, fu scelto non per la propria appartenenza politica quanto piuttosto per le sue qualità amministrative.
Certa è dunque la sua appartenenza fedele al regime fascista e chiaro il suo atteggiamento anche dopo il ritorno di Mussolini. Certamente, dopo la Liberazione venne processato per avere partecipato alla Repubblica sociale e quindi assolto (o forse amnistiato). Morirà nel 1949.

Qualche valutazione conclusiva. Foschi costruisce la propria carriera dentro il fascismo, cui aderisce convintamente venendo dall’esperienza nazionalista degli Anni ’10. La sua intransigenza lo mette in cattiva luce persino con gli apparati di partito (ma è storia condivisa da molti fascisti irriducibili del tempo, come pure, nella Germania degli Anni ’30, da molti nazisti). La sua consonanza con le posizioni fasciste è dunque fuori discussione.
Guardando al suo voltafaccia del luglio 1943, si potrebbe pensare ad un uomo di Stato semplicemente fedele alle istituzioni: se cambia l’aria, se muta la linea politica, un prefetto non può che prenderne atto comportandosi di conseguenza. Se però consideriamo quanto avviene nel settembre dello stesso anno quando “torna in sella” con l’arrivo dei tedeschi e la nascita della repubblica di Salò, risulta evidente che la presa di posizione di luglio fosse dettata solo da convenienze politiche. Fondamentalmente egli era e rimaneva non un uomo delle istituzioni, ma un uomo del fascismo.
La valutazione non si può certo estendere sul piano umano, di cui poco possiamo dire, ma considerando il suo ruolo pubblico è chiaro il suo gioco sempre a favore del fascismo tranne, e per pochi giorni, nel (solo parzialmente) mutato clima politico che segue la destituzione e l’arresto del duce. In fin dei conti un fascista che pone se stesso e i propri interessi davanti a tutto e a tutti, in altri termini (non certo lusinghieri) un “uomo per tutte le stagioni”. Sul piano etico, sia consentita questa valutazione, una figura da studiare, certo non da incensare.

Fonti bibliografiche

Marco Borghi, La storia della fugace apparizione del sottosegretariato di Stato alla Marina a Belluno, in “Protagonisti”, n. 59 (1995), pp. 11-22
Giovanna Bosman, Foschi, Italo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 49 (1997), consultabile all’Url https://www.treccani.it/enciclopedia/italo-foschi_(Dizionario-Biografico)/
Armando Vadagnini, Gli anni della lotta: guerra, resistenza, autonomia (1940-1948), Trento 1978
Ferruccio Vendramini, Note sul collaborazionismo nel bellunese durante l’occupazione tedesca (1943-1945), in Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland (1943-1945). Atti del convegno di Belluno (21-23 aprile 1983), Venezia 1984, pp. 171-208