Il 17 marzo 2016 si è svolta l’annuale commemorazione a ricordo dei quattro partigiani impiccati in piazza dei Martiri a Belluno nel 1945.
Nel corso della cerimonia sono intervenuti, accanto al Sindaco della città di Belluno, anche la storica Adriana Lotto e Isabella David, giovane studentessa bellunese che fa parte della Rete degli Studenti Medi, un’associazione sindacale studentesca che ha come scopo creare aggregazione e sensibilizzare su temi di attualità.
Pubblichiamo ora i loro due interventi.
Adriana Lotto
71 anni fa, il 17 marzo, verso le 6 pomeriggio, le serrande dei negozi che si affacciano su questa piazza calarono, mentre le finestre delle abitazioni si chiudevano. In segno di condanna per quanto i carnefici stavano per fare, di rispetto per i quattro giovani portati a morire. Pochi istanti, e i loro corpi si afflosciavano lungo i lampioni rimanendovi appesi per quasi 2 giorni.
71 anni dopo siamo qui, un’altra volta, a commemorare quel doloroso evento. Qualcuno dirà che c’è dell’ostinazione a mantenere vivo il ricordo, che il passato è passato, che appartiene, semmai, agli storici.
Ma, chi di noi, chiedo, strapperebbe le fotografie che ci ritraggono giovani semplicemente perché non lo siamo più, chi sarebbe capace di dimenticare genitori e nonni solo perché non ci sono più? Come gli eventi e le persone che ci hanno accompagnato nella nostra vita ci appartengono, perché è con loro che siamo cresciuti e diventati quel che siamo, così gli eventi e le persone che hanno segnato la vita di una comunità, ne hanno inevitabilmente forgiato l’identità, il carattere, il destino.
Per questo la memoria è prima di tutto un dovere civico, è un chiedersi a che punto siamo, se camminiamo nella giusta direzione.
Quel giorno, prima di morire, Salvatore Cacciatore gridò: “Vendicatemi”.
Voglio pensare che quel grido non fosse diretto solo a quei pochi che sostavano sotto i portici o a quelli che lo udirono stando dietro le finestre. Voglio pensare che quel grido fosse diretto anche a noi.
E come possiamo noi vendicare, oggi, Salvatore Cacciatore e Giusepe De Zordo (Bepi) e Gianleone Piazza e Valentino Andreani e tutti coloro che vennero trucidati in quei terribili mesi o che morirono di stenti dentro i campi di concentramento?
Innanzitutto, riconoscendo che se siamo nati e vissuti nella pace e nella democrazia è anche grazie a loro. La memoria allora è anche un dovere morale.
Ma il debito che abbiamo nei loro confronti non si salda con un semplice grazie, si paga con un agire che va nella direzione che essi hanno indicato, lungo una strada che non ha mai fine perché non ha fine la vita. Se così è, quel debito è inestinguibile e dovrà essere consegnato alle giovani generazioni che a loro volta lo consegneranno a quelle che verrano dopo e ognuna si farà portatrice di un’eredità che non è un peso, ma un’orgogliosa assunzione di responsabilità per la vita propria e degli altri.
Questo riuscirono a fare quei giovani: assumersi una responsabilità. Ma prima occorreva prendere coscienza, occorreva non appiattirsi alla rappresentazione che della realtà dava il fascismo, occorreva rendersi conto che il credere obbedire combattere non poteva esaurire il comune naturale desiderio di vita.
Ebbene, anche noi, oggi, non dobbiamo accontentarci delle piatte e ottuse rappresentazioni della realtà che ci vengono imposte, occorre ritrovare il pensiero critico, quello che fa vedere oltre, che ci mette al riparo dal luogo comune, dal fanatismo, dalla stupidità, che ci dice che c’è sempre un meglio, che ci spinge ad agire. Ma per agire, per incidere davvero nelle cose, occorre avere un progetto.
Quei giovani l’avevano, gli uomini che sopravvissero seppero dare ad esso forma, la forma della nostra Costituzione, e lo fecero con grande intelligenza, con grande lungimiranza, con grande umiltà e spirito di servizio.
Quattro qualità oggi più che mai necessarie. E il progetto per cui quegli uomini si batterono si chiamò Italia democratica. Era tutto contenuto nel grido che lanciarono qui, in questa piazza, prima di morire, i quattro giovani: Viva l’Italia. C’era in quel grido il cammino passato dell’Italia, il suo essersi fatta nazione e Stato, ma c’era anche il suo riscatto, per quei venti anni di asservimento, per una guerra folle, e c’era anche il suo futuro.
Ebbene, noi oggi abbiamo bisogno che quel grido torni a sommergere i tanti slogans vuoti e falsi e che, unendosi alle migliaia di voci che dall’Europa viva, quella in carne ed ossa, e dal Mediterraneo si levano a scuoterci dall’inerzia, ci metta sulla giusta strada.
E la giusta strada non può che essere quella che combatte la povertà, la violenza, le discriminazioni, le disuguaglianze.
I giovani di allora avevano chiaro che cosa significasse libertà, giustizia, uguaglianza.
L’idea di uguaglianza, che si traduceva in diritti per tutti, l’avevano ben chiara gli uomini di allora che si sforzarono di tradurla in vita quotidiana.
Ora sembra da una parte che l’abbiamo dimenticata, dall’altra che si voglia distruggere come se fosse un ostacolo, e per qualcuno è un ostacolo. Ma a mantenerla viva, questa idea, sono proprio i profughi. Non accoglierli significherebbe allora sbarazzarci dell’idea stessa di uguaglianza. Stiamo attenti a non perdere con essa anche il diritto ad avere diritti.
Questi quattro giovani sono morti, ma non sono stati sconfitti perché l’idea a cui erano fedeli, e cioè che “tutto cio che è può essere diversamente”, è stata tenuta viva da tanti altri che erano con loro, che sono venuti dopo di loro. Tocca a noi, ai più giovani, adesso, far sì che essa dia nuovi e sempre più succosi frutti.
Isabella David
Pensando al 17 marzo 1945 non ho potuto non rievocare i racconti di mia nonna.
Carmela è una ragazza di ventun anni. I suoi capelli sono mossi dal vento mentre pedala a bordo della sua bicicletta.
È una giornata di sole e ne approfitta per andare a trovare i suoi genitori. Andrà da Ponte a Limana passando quindi per Belluno. Il suo vestito è largo e tutt’ora nel 2016 sta nel suo armadio. È una domenica e lei è contenta. Sin da subito nota che la strada per arrivare a Belluno e meno trafficata del solito. Più ci si avvicina a Piazza Campedel meno persone ci sono, quando vi arriva non c’è nessuno. Sembra la scena di un duello da film western, quell’atmosfera che l’America ha reso nota a tutti. Carmela non capisce finché non alza la testa. Sopra di lei vi sono quattro uomini impiccati. Si avvicina incredula quando riconosce uno di quei volti, ormai spenti: è un ragazzo di 18 anni, suo compaesano con i capelli biondi. Guardava il suo volto ed era terrorizzata come lo erano tutti.
Facciamo un salto nel tempo, siamo nel 2016 in un’aula del Istituto tecnico “P.F. Calvi” e il professore di diritto chiede a gli studenti dove nasce la costituzione.
Io conosco la risposta. Nasce sotto gli occhi della mia bisnonna quel 17 marzo, nasce nelle nostre montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, ovunque sia morto un italiano urlando libertà e riscattando dignità. La nostra costituzione è il prodotto della Resistenza.
Mi rendo conto che qualsiasi discorso sul tema ha però sempre meno stabilità. La spinta eroica ha perso l’intensità degli inizi, specialmentre tra i giovani. Bisogna recuperare l’ideale della lotta partigiana. La storia ci insegna che non c’è nessun fascismo buono. Quella stessa storia che non deve essere solo una materia scolastica bensì la nostra guida.
Concetto Marchesi si rivolge a gli studenti dell’Università di Padova dicendo queste parole “per la fede che ci illumina, per lo sdegno che vi attende, non lasciate che l’opressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla schiavitù e dalla misoginia.”
Io oggi voglio invitare, fare un appello ai miei coetanei: reagite davanti a chi in politica antepone l’interesse privato a quello pubblico e, in vista del referendum costituzionale, studiate, studiamo e creiamo gli anticorpi davanti a chi vuole allontanarci ancora di più da quella costellazione di valori che sono stati l’avvio di una nuova storia collettiva.
Ora e sempre, Resistenza.